Ha scoperto il suo talento in un bar che gestiva a Tarcento. Adesso riempie le piazze e i teatri. A tu per tu con Caterina Tomasulo, in arte Catine, la lucana che sa far ridere i friulani giocando con la marilenghe
È nata in Svizzera e cresciuta in Basilicata, a Sant'Ilario, ma da 26 anni vive in Friuli, dove ha trovato la sua seconda “piccola patria” e imparato la marilenghe meglio di tanti autoctoni. Ha scoperto il suo talento nel bar che gestiva a Tarcento, adesso fa la cabarettista a tempo pieno, riempie le piazze e i teatri un po' in tutto il Friuli e le sue incursioni video nelle tv locali e sui social lasciano sempre il segno. L'intervista di questo numero è dedicata a Caterina Tomasulo, in arte Catine, la prima e unica “cabarista” friul-lucana.
Quando si è trasferita dalla Basilicata ha scelto il Friuli per caso o per scelta? Com'è arrivata qui?
Quando ho deciso di fare la valigia per cercare lavoro, non ho pensato subito al Friuli, ho pensato alla Svizzera, dove sono nata e dove ho ancora tanti parenti e amici. Però prima di andare in Svizzera sono passata a trovare la mia amica Rita in Friuli e lei mi ha detto “d'accordo tu vai Svizzera e cerca lavoro, però se vuoi io intanto metto un po' di annunci gratuiti anche sui giornali qui in Friuli”. Sono andata in Svizzera, ma per avere un lavoro dovevi fare un permesso speciale e per avere il permesso dovevi avere un lavoro, era il classico cane che si mordeva la coda. Intanto in Friuli le persone avevano cominciato a rispondere ai miei annunci, così sono venuta qui e non mi sono più mossa.
Che differenze ha trovato tra i friulani e i lucani ?
La prima cosa che mi ha colpita è il colore del paesaggio. La Basilicata è tutta gialla. In Friuli c'è questo verde meraviglioso. Poi ci sono tutte le cose legate agli stereotipi su quelli del Sud e quelli del nord, che hanno comunque un fondamento di verità. Al bar la mattina noi beviamo il caffè. Invece quando sono arrivata qui e sono andata in un bar ho notato che ordinavano di tutto, un “grigio-verde”, un “tai”, tranne il caffè. Poi c'è il lavoro. Mi avevano detto che i friulani sono dei grandi lavoratori, che “sono come i tedeschi: hanno in testa solo lavoro e casa, casa e lavoro”. Però io stando con loro ho capito che non sono come tedeschi, lavorano di più dei tedeschi, perché i tedeschi vanno anche in ferie, riempiono le spiagge.
Il friulano invece non fa mai ferie e se vede un cartello con scritto “chiuso per ferie”, subito commenta: “si vjôt che no àn bisugne, e son masse passûs, an za fat i bêz”.
Come ha imparato così bene il friulano?
Dico sempre che ho una laurea in Scienze ambientali, perché ho sempre lavorato negli “ambienti”, ho fatto le superiori al ristorante e l'università al bar, dove passano tutti i tipi di persone dalla mattina alla sera e quindi si sentono tutte le sfumature, tutte le differenze fra friulano e friulano. Piano piano impari a riconoscere tutti i diversi accenti e io ho imparato il friulano quasi senza accorgermene. È anche una questione di orecchio e io ce l'ho sempre avuto buono, fin da bambina.
Catine
Quando ha capito che il friulano era una “risorsa” dal punto di vista teatrale?
Ho cominciato a fare teatro con una compagnia del posto, “La gote” di Segnacco, che mi ha coinvolta. E quindi ho cominciato proprio in friulano. Mi hanno dato un una parte che era un monologo. Il personaggio era quello di una zitella, una “vedrane” degli anni Cinquanta, che quindi parlava un friulano di quelli antichi, con termini che non si usano più. Dopodiché un giorno, sempre tramite “La gote”, ho partecipato a un concorso in provincia di Terni. Si doveva scrivere un monologo divertente in cui si parlasse anche di temi sociali e ho raccontato il mio viaggio in Friuli, tute le differenze che avevo trovato di colori, sapori, abitudini. Alla fine sono arrivata a raccontare la lingua e ho cominciato dicendo che le prime volte che ho sentito in friulano mi sembrava africano, “utu o no utu”, o arabo: “cui sa dulà che al à di lâ chel là”. Volevo far ridere ma non mi aspettavo che si aprisse questa porta. Con quel pezzo ho vinto il festival d'arte, ha colpito moltissimo. Allora capito che la propria lingua vista da qualcuno che viene da fuori è vista in maniera differente, può far ridere. Ho capito che era una risorsa e mi sono messa a studiarla a fondo e non ho ancora finito.
Anche con la lingua lucana è possibile giocare come lei fa col friulano?
Certo. Anche nel lucano, per esempio, ho trovato del cinese. In friulano una signora che al mercato chiede un po' di uva o di aglio parla cinese: “Âtu ue? Âtu ai? No, vuè no ai ni ue ni ai”. Nel mio dialetto, invece, la parola bianco la diciamo “iang” e se dobbiamo dire “dentro è bianco”, diciamo “ind è iang”. Per dire “ho cinque asini bianchi”, diciamo “teng cinq ciuc iang”. In pratica è cinese. Tutte le lingue hanno il loro i loro lati divertenti, anche se il friulano è la più ricca. È speciale.
Come e quando le è nata la passione per il teatro?
Da bambina abitavo a Sant'Ilario, che quella volta aveva 250 abitanti, adesso ne sono rimasti una settantina. Ero tutta riccia e bionda, sembravo l'ape Maia e mi facevano sempre fare l'angioletto. Mi piaceva recitare in tutte le recite della scuola. Ero molto portata per la recitazione, ma questo fino agli 8-9 anni. Poi sono cresciuta, sono andata alla scuola media e sono diventata timida. Non ho più recitato. Dopo 30 anni sono venuta qui in Friuli ho trovato questa compagnia di Segnacco che mi ha tirato dentro e sono arrivata sul palco. Il mio destino mi ha aspettato qui.
Le capitava di “utilizzare” la platea del bar per testare battute che poi avrebbe portato negli spettacoli ?
Il bar per me è una grandissima ispirazione, lo porto sempre nei miei spettacoli. Le battute che sentivo nel bar le ho tutte in mente e tante volte le porto sul palco, perché nel bar si impara la lingua del popolo, quella parlata dalla gente comune, che ha delle espressioni colorite che, se vai a scuola di friulano, non le impari, come “fami un spritz cence aghe”, per ordinare un bicchiere di vino, oppure “là si vadial a spandi aghe?” o “a disbevi”. Guai se non ci fosse stato il bar non potrei fare quello che faccio.
Lei ha vinto un premio per un monologo sulle migrazioni, pensa che il teatro possa in qualche modo avvicinare le culture e favorire una reale integrazione?
Certo, ne sono convintissima, il teatro in generale, ma anche proprio la risata, l'umorismo, il teatro comico. Certo che può avvicinare culture, però deve esserci sempre una grande curiosità. Non ci si deve avvicinare a un'altra cultura con sospetto, con paura della diversità, ma sempre con curiosità, sempre con la mente aperta e questo porta alla risata. Se io ti Catine prendo in giro per la tua lingua, ci facciamo una bella risata, si aprono delle porte, ci si conosce, ci si avvicina. La risata toglie la paura. Non bisogna avere paura delle diversità perché le nostre diversità sono proprio la nostra ricchezza. Il teatro è un grande veicolo di cultura, di vicinanza e di integrazione. Le tre “c” di Catine: dalla curiosità viene la conoscenza, dalla conoscenza viene la cultura. E questo avvicina le persone, le fa vivere meglio.
Lei pensa che ci sia una comicità di genere? E se sì, quali sono le differenze fra la comicità maschile e quella femminile?
Ci sono le differenze di genere ovviamente. La donna vede la vita tutto in un altro modo rispetto a come la vede l'uomo. E questa è la bellezza. Però quando la comicità è universale, quando arriva dove deve arrivare, che sia maschile che sia femminile, è comicità.
Catine
Per quel che riguarda le attrici comiche ci sono delle attrici a cui si ispira o che comunque apprezza in modo particolare?
Ce n'è tante tante, in primis la grande Anna Marchesini. Mi è sempre piaciuto il teatro comico da Franca Valeri a Bice Valori, Luciana Littizzetto, Virginia Raffaele, Paola Cortellesi, Sabina e Caterina Guzzanti... Spero di non dimenticarne nessuna, perché abbiamo tante comiche donne molto brave.
Come ti sembra il panorama teatrale friulano?
Molto ricco. Non mi aspettavo tutta questa ricchezza. Il Friuli è una regione piccola e sorprendente sotto tutti i punti di vista. E lo stesso vale per il panorama musicale, che è ricchissimo solo che non è considerato. Quando avevo il bar c'era una terrazza sul retro dove facevo delle serate musicali e da me sono passati i migliori jazzisti del panorama friulano: Mauro Costantini, Daniele D'Agaro, Nevio Zaninotto. Tutti bravissimi. Eppure a livello nazionale questa ricchezza culturale del Friuli non è riconosciuta, non so perché.
Quali sono i limiti, se ci sono, del teatro dialettale?
L'unico limite è se il pubblico non ti capisce bene sul piano linguistico e muore tutto il senso di una battuta. Per il resto però un espressione dialettale ha molta più potenza dell'italiano, una frase detta in dialetto ha molta più forza adesso.
Quando a 15 anni si è iscritta all'istituto alberghiero, come vedeva il suo futuro? Se l'era mai immaginato così?
Non avrei mai immaginato di finire a far ridere in Friuli Venezia Giulia. Ero molto brava a scuola, specialmente in matematica, che mi piaceva molto. E mio padre e le mie insegnanti volevano mandarmi al liceo scientifico, al classico o a fare ragioneria, ma io proprio non mi vedevo ragioniera o commercialista. Mi sono sentita talmente pressata da tutti quanti che alla fine ho detto “basta, io scelgo la scuola alberghiera. Ho scelto questa scuola per ribellione, ma il mio futuro non lo vedevo, non sapevo quale sarebbe stato. Alla fine è andata bene com'è andata.
“Catine in cusine”: come se la cava Catine tra i fornelli? Cosa le piace fare e cosa le riesce meglio?
Non sono una cuoca eccellente. Ma sono brava a fare i piatti con quello che ho e in genere me la cavo bene. Una volta, però, ho provato a fare il frico ed è stato un disastro totale. Ero con una mia amica argentina: un'argentina e una terrona che fanno il frico friulano, era difficile che venisse fuori qualcosa di buono.
Qual è il suo piatto friulano preferito?
Il frico. Appena l'ho mangiato la prima volta mi sono innamorata di questo piatto, perché era così croccante e abbrustolito sopra e dentro tutto filante. Poi mi piacciono anche il salame con l'aceto con la cipolla sopra, la polenta abbrustolita col formaggio. Insomma, avete buon cibo anche voi. “Leggero”, ma buono.
“Catine in cantine”: che rapporto ha con il vino? Se ne intende?
Il vino, in Basilicata, ce l'abbiamo. È l'aglianico del Vulture, un vitigno autoctono, molto strutturato e molto buono. In ogni casa c'è il vino, ma non abbiamo la cultura del taglietto al bar, non troverai nessuno che al bar chiede un bicchiere di vino.
Invece qui ho trovato queste enoteche, che non avevo mai visto in vita mia. La cultura del vino l'ho presa subito in simpatia. Anche perché avete vini buonissimi: il merlot, il cabernet, il tocaj, il souvignon... Sono diventata una grande estimatrice di vini grazie a voi friulani.
Svizzera, Basilicata e Friuli: cosa c’è in Catine di questi tre luoghi?
Io sono nata in Svizzera, ma quando avevo sei mesi i miei sono ritornati in Basilicata. Quindi della Svizzera non ho ricordi, non ho niente.
Però, dato che credo che tutte le cose accadono per un motivo, mi sono chiesta il senso di questi sei mesi di Svizzera e alla fine ho capito. Mi servono, è stato l'imprinting per mantenere un po' di neutralità in tutto il casino che è successo dopo con la Basilicata, il Friuli, il lucano e il friulano, con le sue mille lingue. Per il resto dentro di me c'è tutto un misto di meridionale e settentrionale. Per esempio di meridionale ho conservato il caffè. Devo avere il mio caffè, fatto con la mia moka. Diciamo che adesso sono un mix di Friuli e Basilicata e grazie alla Svizzera riesco a tenere l'equilibrio.
Come ha vissuto il periodo di isolamento legato all'emergenza coronavirus? Che impatto ha avuto sul suo lavoro?
Noi teatranti siamo stati i primi a chiudere gli ultimi a riaprire. Quindi come impatto lavorativo è stato tremendo. Ci siamo ritrovati tutt'a un tratto disoccupati e basta. Mi sono detta, ho qui un parco giochi che non finisce, migliaia di parrucche e vestiti. Creo dei personaggi, li porto su Facebook e così tengo il contatto anche con il pubblico. Ho cominciato così a pubblicare dei video e ho visto che la risposta era positiva. Ho spento la televisione e ascoltavo solo la radio, ho fatto lo struzzo perché altrimenti mi sarei angosciata e non avrei risolto niente. Invece così mi sono tenuta su di morale ho tenuto su di morale gli altri e ce la siamo portata fuori in maniera dignitosa. Adesso con tutti questi personaggi ho fatto un DVD ed è venuto uno splendido lavoro.
Pensa anche lei che il sorriso, il sapere ridere anche dei propri limiti e difetti, è fondamentale per affrontare meglio la vita e superare le difficoltà?
Assolutamente sì. È fondamentale. Ti aiuta tantissimo. Io con tutti i miei difetti, per esempio il naso grande, da ragazzina ero complessata.
Poi ho capito che se tu non cerchi di nascondere i difetti, ma li evidenzi e ci ridi su, anticipi gli altri e superi il problema. L'umorismo è fondamentale nella vita, aiuta tantissimo. Non risolve, ma aiuta.
Hai mai pensato di scrivere un libro?
È il sogno di una vita. Sognavo di fare la scrittrice, di scrivere da una spiaggia delle Hawaii. Sognavo di girare il mondo e di scrivere. Invece è andata diversamente, ma comunque durante la quarantena ho pensato seriamente di scrivere un libro. Ho pensato anche al titolo, l'avrei chiamato “E venne chiamata Velellìcheje”, perché la mia storia assomiglia molto a quella di “E venne chiamata due cuori” che racconta la storia di una donna americana che per un periodo ha vissuto con gli aborigeni australiani e alla fine dice di avere due cuori, uno americano e uno aborigeno. E io mi sento così, con un cuore friulano è un cuore lucano. Il titolo ce l'ho, ma probabilmente i tempi non sono ancora maturi. Prima o poi, però, lo scriverò.
Il cinema e la televisione le interessano?
In televisione ho fatto qualcosa qui con con Udinews Tv, “L'isola di Catine”, ma non ho tante esperienze televisive.
Al cinema ho fatto un cameo nel film “La donna di picche” e farò ancora una piccola parte in altri due film. Sono cose che faccio volentieri, ma il teatro mi piace più di ogni altra cosa.
La vita di tutti i giorni, si può dire che è questo che, dopotutto, porta sul palcoscenico?
Sì. La vita offre mille spunti. Se uno sa guardare con curiosità, con i sensi aperti, la vita è un teatro. Certe volte succedono nella vita delle cose che anche con la più grande fantasia non avresti mai immaginato. Per esempio io che faccio ridere i friulani. Quindi io porto sul palco la vita.
Inquadra con il telefonino e guarda il video integrale dell’intervista a Catine
L’intervista a Catine si può vedere anche sulla pagina Facebook di WheelDM e sul sito della UILDM di Udine