Intervista a Giancarlo Velliscig, presidente dell'associazione Euritimica, organizzatore di Udin&Jazz e Onde Mediterranee

Ha iniziato negli anni Settanta suonando la chitarra sul pullman che lo portava da Ajello, dov'è cresciuto, a Gorizia, dove faceva il liceo. E non si è più fermato. La musica è rimasta una costante della sua vita. Prima sul palco, assieme alla moglie, Alessandra Kersevan, nell'esperienza del “Canzoniere di Ajello”. Poi da organizzatore di concerti nei locali e infine di veri e propri festival come “Udine&jazz”, che in 26 anni di vita ha portato in Friuli i più grandi nomi del panorama internazionale, e Onde Mediterranee. A 59 anni Giancarlo Velliscig è uno dei protagonisti della vita culturale della nostra regione, sempre sensibile alle tematiche sociali e fedele a un'idea dell'arte come strumento di crescita personale e collettivo. Lo abbiamo incontrato a Casa UILDM in una torrida giornata estiva.

Come è nata nel 1990 l'idea di Udine Jazz?
In quegli anni gestivo la programmazione artistica di un locale, il “Cadillac”, che si trovava poco fuori Udine e che, anche se è durato solo tre anni, ha segnato un'epoca anche per la sua proposta musicale nuova e ricercata. Quell'esperienza ci ha fatto scoprire che il jazz era una musica che interessava, che aveva un suo pubblico molto curioso. In quel periodo non c'era nulla che assomigliasse a un festival in regione. Il primo tentativo è stato a Grado con “Isola jazz” e fu un disastro, di pubblico ed economico. L'intraprendenza però non ci mancava e non abbiamo mollato.

E avete scelto di puntare su Udine.
Ricordo perfettamente l'incontro con l'allora assessore alla Cultura del Comune di Udine, Cesare Gottardo, a cui proposi la prima edizione di “Udine&jazz” e che, per fortuna, accolse l'idea con una disponibilità di cui ancora lo ringrazio. La città in realtà rispetto a questo genere musicale aveva già una sua storia, legata all'orchestra jazz di Udine, che proprio quest'anno abbiamo festeggiato nei suoi primi 50 anni. Siamo partiti avvertendo che c'era questo interesse potenziale. Il resto lo ha fatto la passione, l'entusiasmo che ci metti nelle cose.

Come avviene la scelta degli artisti da invitare alle diverse edizioni di “Udine&jazz”?
Partiamo ovviamente da quello che ci piace, da quello che riteniamo qualitativamente significativo. Non è facile, perchè il jazz è una musica molto legata al suo territorio, al suo contesto, al momento storico, oltre all'indole del singolo musicista. Si può privilegiare un tema specifico oppure esporre diversi stili. In realtà, anche per creare un'abitudine a frequentare il festival, ultimamente facciamo spesso delle scelte trasversali, talvolta borderline. Un esempio di quest'anno è quello di Ezio Bosso. Non suona il jazz, ma nella sua musica c'è jazz, eccome, se non altro nel fatto di suonare in maniera sempre diversa e sempre più legata allo stato d'animo e all'espressione di qualcosa di interiore.

Quali sono le principali difficoltà nell'organizzazione di un evento di portata internazionale come questo?
I problemi sono molti e le esigenze organizzative sono le più disparate. Avendo a che fare con personaggi da tutto il mondo, si creano necessità legate alla lingua, all'ospitalità, alle abitudini alimentari degli artisti. Dopo molti anni le cose si stabilizzano, ma nei primi tempi non è stato facile. Un altro ambito fondamentale è quello delle professionalità tecniche. Poi c'è il lavoro altrettanto essenziale dell'ufficio stampa, che deve raccogliere le informazioni e diffonderle ai media e attraverso i social network. Infine ci sono tutti gli aspetti organizzativi meno eclatanti, ma altrettanto importanti, come disporre le sedie sul piazzale del Castello prima dei concerti o accompagnare i musicisti all'aeroporto. Sono tutti tasselli di un meccanismo non semplice, che però dopo tanti anni di esperienza funziona sempre abbastanza bene.

Il Friuli è preparato all'offerta culturale che proponete?
Il nostro è un lavoro di lunga lena. Ormai sono 26 anni che facciamo un festival jazz a Udine e abbiamo la fortuna di poter portare i nostri concerti un po' in tutto il Friuli. Purtroppo in Italia abbiamo assistito alla rimozione quasi totale dell'educazione musicale dall'ambito scolastico e questo fa sì che ci sia una difficoltà maggiore ad avvicinarsi ai generi che implicano un po' di impegno, un po' di ricerca, di curiosità. Si è più portati a fruire passivamente la cosiddetta musica commerciale. Il nostro territorio, tuttavia, si dimostra reattivo e interessato anche a un'offerta diversa. Una ricerca della Regione dell'anno scorso dice che, di fronte a un calo complessivo di fruizione della musica nel suo complesso, cresce invece del 30% l'affluenza ai concerti jazz.

Che rapporto c’è per lei tra musica e territorio?
Specie nella musica di cui mi occupo principalmente, il jazz, è un legame che si avverte molto facilmente e irrimediabilmente. Posso identificare la provenienza di un artista ascoltando la sua musica perché questa è come un estratto di un territorio, della sua storia, della sua cultura. L'Europa ad esempio, grazie al suo sconfinato bagaglio culturale, è oggi il terreno più fertile anche per il jazz. Il territorio poi vuol dire anche lingua che, nel nostro caso, è il friulano.


Sul palco di Udine&Jazz

Subito dopo il terremoto è iniziato un movimento musicale proprio in friulano ricchissimo di proposte e stili che l'hanno vista, con il “Canzoniere Popolare di Ajello”, tra i protagonisti con un importante lavoro di ricerca musicale, linguistica e sociale assieme ad altri gruppi come il “Povolâr Ensamble” di Giorgio Ferigo.
Erano anni in cui la musica popolare aveva un senso molto forte in Italia e quindi ogni regione o quasi aveva un suo canzoniere che si dedicava alla musica popolare. Era un modo per emanciparsi culturalmente rispetto a quello che accadeva nel mondo e anche per rivendicare la propria cultura, le proprie origini.Con il “Canzoniere”, in particolare, abbiamo fatto un lavoro di ricerca sulle tradizioni popolari, perchè sembrava che in friulano ci fossero solo canzoni banali e non ci fosse nulla che avesse a che fare con il lavoro, la miseria, le guerre, che pure nella nostra storia hanno avuto un peso determinante.

Invece?
Invece abbiamo trovato canzoni che erano state rimosse, con testi impegnati. Abbiamo anche fatto un lavoro di ricerca sulla produzione poetica in friulano di quegli anni, che era molto ricca di firme importanti come Pier Paolo Pasolini, Leonardo Zanier, Galliano Zof, che abbiamo messo in musica.

Da cosa nasceva questo tipo di ricerca?
C'era una necessità di liberazione, di emancipazione attraverso la lingua. Il fascismo aveva avuto come primo obiettivo quello di cancellare tutte le lingue minoritarie, come segno di potere e controllo sul territorio. In quegli anni invece era forte la voglia si esprimersi nella propria lingua e, attraverso la musica, i contenuti e la lingua, dar voce a uno spirito che per molti versi possiamo definire rivoluzionario.

Come nacque la collaborazione con Leonardo Zanier?
Zanier è un personaggio straordinario che è stato una delle spine dorsali di tutto il lavoro culturale che abbiamo fatto. Poeta, scrittore, saggista, usa il suo meraviglioso idioma carnico di Comeglians e lo fa da emigrante visto che ha girato il mondo passando dal Marocco, alla Francia, alla Svizzera dove vive. Nella sua poetica ha saputo sintetizzare in modo ineguagliabile le problematiche che ci interessavano a partire dalle tematiche dell'emigrazione, del confronto tra culture, lingue e popoli diversi. Sono temi oggi drammaticamente attuali e che lui ha affrontato in modo mirabile.

Anche sulla scia della vostra esperienza il panorama musicale friulano fino agli ani Novanta è stato molto ricco, basti pensare a gruppi come gli Arbe garbe, i Zuf de zur, i Mitili FLK. Oggi qual è la situazione?
Mi pare ci sia di nuovo un momento di difficoltà, anche se con alcune eccezioni di pregio come Dj Tubet o i Carnicats che uniscono la nuova musicalità globale all'uso del friulano. In generale però non è un momento felice, ma grazie all'impegno di Onde Furlane e altre realtà, si riesce almeno a fare un lavoro di conservazione. Purtroppo oggi fare musica e per di più in friulano non è facile, perchè non ci sono sbocchi commerciali e professionali.


Giancarlo Velliscig con Michel Antoine Petrucciani

Cosa si potrebbe fare per aiutare i giovani che scelgono questa strada?
Visto che da dopo il terremoto la nostra è una regione piena di tante bellissime sale attrezzate e spesso vuote, ho proposto da tempo di riempirle, di usarle per farci entrare i gruppi di giovani che suonano. Questa idea è stata in parte ascoltata dall'Ente Regionale Teatrale, che da qualche tempo ha inserito nel suo circuito anche qualche appuntamento musicale. È una buona cosa, ma è ancora troppo poco.

I suoi figli, Alessio e Giuliano, di recente hanno suonato a un evento benefico a favore di una delle due squadre friulane di hockey in carrozzina. Li ha spinti lei verso la musica o è stata una loro vocazione?
Nè io nè mia moglie abbiamo imposto nulla. Certo hanno respirato musica in famiglia fin dalla nascita ed era forse inevitabile che la musica entrasse nelle loro vite. Hanno preso strade molto diverse, ma ora stanno facendo esperienze assieme e questo mi piace. Adesso hanno l'opportunità di fare una tournée in Polonia e in vari paesi dell'Est. Sono due ragazzi sensibili e mi fa piacere che abbiamo partecipato a un'iniziativa benefica, non voglio prendermi meriti che non ho, diciamo che forse hanno appreso in famiglia un certo modo di essere.

Pensa che la musica possa essere uno strumento utile per perseguire fini solidali? Vi impegnate in questo senso?
Cerchiamo di fare il possibile. Per esempio, abbiamo messo a disposizione della famiglia di Giulio Regeni la nostra struttura per qualsiasi necessità potesse avere per mantenere alta l'attenzione su questa tragica vicenda e penso che entro l'anno riusciremo ad organizzare un grosso evento musicale con questo obiettivo. L'anno scorso invece abbiamo fatto un concerto nel centro di accoglienza dei profughi a Gradisca d'Isonzo, un luogo in cui si respirano l'emarginazione e la disperazione più totali. L'abbiamo fatto anche considerando che al di fuori, nelle nostre comunità, sta purtroppo tornando ad aggirarsi un razzismo che va chiamato con il suo nome e va combattuto.

Che impatto hanno le nuove modalità di fruizione della musica legate a internet?
Oggi pochissime persone acquistano un CD, perchè in rete puoi comprare anche solo un pezzo o due, come se il resto fosse da buttare. Il progetto di un disco è un progetto complessivo. Un artista quando lo pubblica presenta tutto se stesso attraverso tutte le tracce. Alla lunga questo impoverisce enormemente le possibilità di esprimersi, di farsi conoscere. Per qualsiasi tipo di musica di qualità c'è una difficoltà enorme nel fissare qualcosa, far durare un progetto.

Che rapporto ha con i social media?
La tecnologia non ha nessuna colpa. È uno strumento. Dipende sempre dall'uso che se ne fa. Internet e i social stanno segnando una svolta davvero epocale nei rapporti umani e nella comunicazione sociale con molti aspetti positivi. Ma è anche vero che un loro uso esclusivo, che porta a cancellare i rapporti umani veri, ottiene l'effetto di isolare una persona in una presunta apertura, che è invece una soggettività che non ha riscontro e condivisione. Facebook ad esempio è caratterizzato da una superficialità estrema, senza nessuna profondità o intensità. L'opposto di quello che servirebbe per creare delle coscienze, delle personalità, delle emancipazioni.

Cosa ne pensa dei talent tv come “Amici”, “X factor” e “The voice”?
Sono le nuove forme di selezione “innaturale”. È una forma di competizione che alla fine non fa altro che creare i prototipi a cui doversi conformare. È una delle conseguenze negative delle nuove tecnologie di comunicazione che, se usate con uno scopo di controllo, di formazione di coscienza globale uniformata, diventano preoccupanti. Non è questo il metro che ritengo affidabile per giudicare alcunché.


Giancarlo Velliscig a Casa UILDM

C'è un artista in particolare tra quelli che ha incontrato cui è rimasto particolarmente legato?
Ricordo con grandissimo affetto un musicista che non c'è più da diversi anni, che è venuto in regione quattro volte e di cui ero amico. Parlo di Michel Petrucciani: un pianista straordinario e una persona di una vitalità incredibile. Ha lasciato una traccia indelebile, dandoci una lezione di vita enorme che non dimenticherò mai. All'opposto ci sono artisti che non concedono a nessuno di avvicinarli.

Per esempio?
Una figura che mi ha deluso sotto questo profilo è Francesco De Gregori, di cui da giovane cantavo le canzoni e di cui ho organizzato più di un concerto, senza riuscire mai praticamente a scambiarci una parola. Ma non è l'unico e talvolta la disponibilità è inversamente proporzionale alla popolarità.

Ricorda qualche aneddoto divertente accaduto nella sua lunga carriera?
Ce n'è uno che riguarda uno dei più grandi jazzisti della storia, il sassofonista Ornette Coleman, che è mancato l'anno scorso. Dopo molti anni sono riuscito a portarlo a Udine, al Palamostre, nel 2009. Una settimana prima del concerto mi chiamano dagli Stati Uniti e mi dicono: “C'è un problema, Ornette è sparito”. Erano andati a prenderlo in albergo a Buenos Aires, ma lui non c'era. Aveva i primi segnali di Alzheimer, era uscito dalla stanza e nessuno sapeva dove fosse. Lo hanno trovato dopo tre giorni. Il manager mi ha chiamato per rassicurarmi, però mi ha detto: “mi raccomando, in albergo qualcuno deve stare davanti alla porta per tutta la notte”. E così abbiamo fatto. Quando è arrivato in teatro per le prove sono andato a conoscerlo, ci siamo presentati e abbiamo chiacchierato un po'. Ha fatto un concerto meraviglioso, che ancora tutti ricordano. Alla fine l'ho cercato per salutarlo e fargli i complimenti, ma non si ricordava di avermi incontrato poche ore prima. La sua memoria se n'era già andata, rimarrà la sua musica straordinaria.

Ha mai avuto richieste strane o problemi nel gestire le grandi star?
Una richiesta curiosa ce l'ha fatta James Brown, un figura straordinaria per l'importanza culturale che ha avuto per la comunità dei neri americani e per le doti che aveva anche sul piano musicale. Doveva suonare in Castello e c'era un caldo bestiale, ci saranno stati 40 gradi. Malgrado ciò, ci ha chiesto di avere un casco da parrucchiera e si è sistemato i capelli. Quando ha finito grondava di sudore, ma aveva una messa in piega perfetta. BB King invece era una persona straordinaria, dolcissima, solo che era accompagnato da una banda di musicisti completamente fuori controllo. Hanno devastato due camere dell'Hotel più chic di Udine. Quando mi hanno mandato le foto dall'albergo, mi sono vergognato, erano riusciti a rovinare in modo indelebile persino i sanitari.