Vicini e raggiungibili come una palestra, lontani nello spazio e nel tempo, come un prato in cui giocavi da bambino. I redattori di WheelDM descrivono alcuni dei luoghi cui sono più legati e che frequentano spesso, nella realtà o anche solo attraverso i ricordi

Piccoli come una palestra o grandi come un'isola. Lontani nella memoria o frequentati abitualmen- te. Legati a momenti e persone che non torneranno più o ancora aperti a nuovi incontri e nuove espe- rienze.

 Concreti come i vicoli di una cittadina di mare o immateriali come le forme e i colori di un quadro. Sono i luoghi del cuore, gli spazi che compongono la nostra geografia personale e più intima, quelli in cui ci sentiamo “a casa”, in cui ci piace ritrovarci fisicamente, se li abbiamo vicini, o con i ricordi, se non possiamo più raggiungerli.

I redattori di WheelDM hanno accettato di raccontare a modo loro alcuni di quelli cui sono più legati.

Due luoghi e un non luogo

In questi anni ho avuto modo di fare tante passeggiate in diversi luoghi della regione concentrati nell’area friulana, dal mare alla montagna. 

Alcuni li considero luoghi del cuore perché a ogni visita trovavo cose nuove da guardare, più o meno accessibili, che riuscivo comunque a vedere... spinta dalla curiosità e attuando piccole strategie. 

 Posti di fascino, dove scoprire le cose che in ge-nere non si notano oppure solamente per svagarsi dalla routine quotidiana. Marano Lagunare, con i suoi vicoletti e le calli che gli conferiscono un’aura di magia con una parte delle vecchie mura, è uno di questi luoghi. Tra l'altro ha anche un piccolo museo accessibile che consiglio, dove ho scoperto la do- minazione veneziana dopo quella romana.

Marano, infatti, è stata per lungo tempo sotto la Serenissima e le case sono più o meno appiccicate in alcuni punti, il dialetto friulano/veneto è musicale ed essendo una piccola comunità, tutti partecipa- no con goliardia alle feste, come l’arrivo delle befane in barca, il carnevale e le recite teatrali all’aperto, e rendono partecipi i visitatori. Ci ho passato molti pomeriggi, in compagnia e con un bel gelato. 

 Venzone che ho frequentato ancora di più, è un borgo medioevale con le case in sasso. Anch’esso risale all’epoca romana perché si trovava adiacente alla via Julia Augusta che metteva in contatto con l’Europa del nord.

 Non è molto accessibile perché dopo il terremoto è stato ricostruito identico a com'era: gradini, porte piccole… E a detta di chi ci vive, per fare cambiamenti ci sono problemi con la sovrintendenza. Ma le strade sono tutte in piano e il passeggio è piacevole.

Nella piazza principale i bar hanno messo i tavolini dove nella bella stagione si può gustare un buon gelato o una bibita e sono frequentati dai turisti (tanti gli austriaci che arrivano con la ciclovia Alpeadria) che possono ammirare gli edifici intorno e in particolare il palazzo del comune, che ha uno stupendo soffitto nel quale sono dipinti gli innumerevoli stemmi dei casati nobiliari friulani. 

 D’inverno, invece, si può stare dentro e scaldarsi al fuoco di un maestoso caminetto, gustando le torte fatte in casa delle signore del bar...

 Venzone ha delle mura possenti, che comicamente non coincidono. La gente è piacevole e nei negozi, di artigianato e non, si instaurano rapporti genuini. E i ragazzi per strada, anche se sono sco- nosciuti, non lesinano il “mandi”.

È un posto dove ho intessuto parecchie amicizie da almeno dieci anni. Ha una magnifica festa che io ho frequentato di fretta perché dopo una certa ora è difficile muoversi. 


Uno scorcio di Venzone

E molto bella perché i paesani sono tutti in abito medievale.

La regina della festa è la zucca. 

 Per l’ultimo luogo del cuore non ho necessità di spostamenti. In realtà sarebbe il posto più semplice da raggiungere. Non si esce e non si entra: è il mondo dei colori e delle forme.

 È un luogo-non luogo, nel quale coltivo le emo- zioni suscitate dai colori e sto in una solitudine pia- cevole.

Un luogo che per diversi motivi non sono ancora riuscita a rifrequentare, mi auguro di farlo a breve. Oltre a un luogo del cuore è un angolo di serenità che mi aiuta a riempire un foglio bianco. 

Silvia De Piero

Una marea di emozioni

 Uno dei tanti posti che mi fanno sentire bene è la palestra dove faccio allenamento.

Non faccio un’ora di strada solo per allenarmi, ma anche per stare con i compagni della mia squa- dra di hockey in carrozzina: i “Friul Falcons”. 


Elia durante uno degli allenamenti

 In questo luogo situato a Feletto Umberto, posso sfogarmi nel senso sportivo e mantenere la mente concentrata durante le azioni di gioco con il mio team. Ci alleniamo una volta alla settimana, il sabato per due ore, dalle 16 alle 18. Prima che inizi l’allenamento c’è sempre un po’ di tempo per conversare con i compagni di squadra. Dopo una fase iniziale dedicata al riscaldamento, il coach ci chiama e ci raduniamo tutti assieme per farci spiegare gli esercizi, facendo anche una piccola dimostrazione di come andrebbero svolti.

In tutti questi anni in cui mi sono allenato ho conosciuto molte persone e ho provato una marea di emozioni, dalle più belle a quelle meno belle. 

 Non riesco ad esprimere tutto ciò che ho passato durante i miei allenamenti, ma posso dirvi che da allora ad adesso è stata un’esperienza stupenda.

Elia Filippin

Un paradiso

 I luoghi del cuore, quelli che ti lasciano il segno, sono tanti, difficile scegliere o fare classifiche.

Legati a viaggi, incontri o anche a musiche, sono compagni di vita, ricordi preziosi, lontani o vicini, presenti e spero anche futuri. Ma, oggi che il tempo è grigio, piove, fa freddo e sono un po' malinconica, se chiudo gli occhi sono al caldo, al sole ai colori di una piccola isola. 


Il porto di Ponza

 “Non venire a luglio o agosto, ci sono troppi turi- sti, vieni per la fioritura delle ginestre, che qui è tut- to giallo, uno spettacolo, o a fine estate!”. Non sono tornata a primavera, come diceva Silverio, un pesca- tore con la barba e i capelli bianchi e la pelle bruciata dal sole; ho preso le ferie a settembre e anche l’anno dopo: un paradiso. Allora era così e da allora non sono più tornata, forse anche per non trovarla cambiata. Ponza.

Maurizia Totis

Poscjasa e l'albero di mele

 Siamo a Osais di Prato Carnico. Per raggiungere Poscjasa, una volta usciti dal retro della casa dei nonni materni, bastano pochi passi. Sul lato destro, passavo davanti a una stalla, al garage di Bepi e a un recinto, dove c’era un cane che ogni volta ti veniva incontro e le sue due o tre abbiate erano il suo saluto. Sul lato sinistro, invece, c’era prima un piccolo orto recintato, poi un pollaio e poco più avanti la stalla, il fienile e la legnaia di Mario. Poscjasa è un prato in leggera pendenza ed era curato, falciato e tenuto pulito dalla nonna. Da qui puoi godere di una splendida visuale. Vedi i prati, gli orti, in basso il fiume e di fronte alzarsi le montagne e i loro splen- didi boschi. Al centro c’era un bel melo. L’albero di mele ha dimostrato negli anni una enorme pazienza. Ha sopportato i nostri giochi, urla e arrampicate e, sui rami più grossi, ospitato le corde dell’altalena. Quando dondolavi, raggiunto il punto più alto, pote- vi vedere, sulla sinistra, i tetti di Osais. Per un atti- mo, ti trovavi in cielo, volavi. E di volta in volta guardavi i tetti, o il fiume Pesarina o qualcuno inten- to a lavorare nei campi. E chiedevi di essere spinto più forte. Sempre più forte.

 Il milucjar ha anche amorevolmente protetto la tenda che allestivamo. Era il nostro rifugio. Dormi- vamo, facevamo merenda e ci piaceva il fatto che gli adulti ci chiedessero permesso per entrare.

 Quel “avanti” o “si, puoi entrare” faceva sentire tutta nostra quella tenda, che in realtà era, per noi, la nostra casa.

Diego Badolo


Una veduta di Osais di Prato Carnico (foto di Federica Cleva)