A tu per tu con Mara Navarria, la campionessa friulana di scherma che alle Olimpiadi di Parigi ha conquistato la medaglia d'oro nella spada a squadre

 Nella sua carriera ha vinto tutto. Da sola o in squadra è stata campionessa italiana, europea e mondiale, accumulando quasi una trentina di titoli assoluti e oltre un'ottantina di secondi e terzi posti, in competizioni nazionali e internazionali.

Ha cominciato a tirare di scherma da bambina a San Giorgio di Nogaro, a cinque minuti dalla sua casa di Carlino, poi la sua crescita sportiva l'ha portata a girare il mondo e a vestire la divisa del Centro sportivo dell'Esercito, senza mai perdere il legame con il Friuli.

Nel 2013 è nato suo figlio Samuele e tanti pensavano che questo l'avrebbe frenata. Invece, lei ha rilanciato, dimostrando che, anche se con grandi sacrifici, si può essere una mamma e un'atleta di grande livello, raggiungendo i suoi migliori risultati. Dopo una vita passata in pedana, per chiudere un'avventura sportiva straordinaria, per lei non c'era un modo migliore della medaglia d'oro conquistata alle Olimpiadi di Parigi nella spada a squadre, con una rimonta che ha trascinato le compagne e ci ha emozionato tutti. 

La redazione di WheelDM ha incontrato a Distanza Minima Mara Navarria.

Come e quando è nata la passione per la scherma?
Sono la seconda di quattro figli, facevamo tutti un'attività sportiva, ma mio fratello aveva iniziato a fare scherma e mia mamma, non potendo impazzire a portarci tutti ad attività diverse, ci ha portato tutti a scherma.
Quindi d'estate, vivendo nella Bassa, dove c'è molta acqua, facevo canoa e il corso di nuoto a Villanova, e poi, invece, d'inverno facevo scherma. Fin quando la scherma mi ha totalmente attratta e ho lasciato la canoa per concentrarmi solo su questo sport.

A che età si può iniziare questo sport?
Io ho iniziato quando avevo dieci anni, ma si può cominciare anche prima. In generale c'è un'età consigliata, attorno ai sei anni.
Magari da grandi, da adulti, è un po' più complicato mettersi in guardia, però la scherma è uno sport che si può fare anche uomini contro donne, bambini contro adulti e sta prendendo davvero piede anche il fatto di fare scherma da adulti.

Quindi chiunque può fare scherma?
È così. Non ci sono caratteristiche indispensabili per praticarla. Adesso sta crescendo anche la scherma in carrozzina e vi assicuro che è davvero diver- tente, perché qualche volta anch'io mi sono confrontata con qualcuno in carrozzina nella spada, che è la mia specialità. Ho anche provato a fare la schema per non vedenti con un gruppo di quasi tutti adulti. Chi è ipovedente deve mettersi una fascia sugli occhi e al centro della pedana c'è un rilievo e quindi c'è una distanza a cui bisogna stare se no l'arbitro interrompe l'assalto. La scherma è bella perché si può fare con tutti.

Da quando lei ha iniziato, negli anni No- vanta, la scherma è rimasta sempre la stessa o è cambiata?
A parte alcune rego- le cambiate nella velocità di accensione della stoccata, da quando ho iniziato, la scherma è diventata molto più fisica. Si dà molto più valore alla velocità, alla potenza con cui si portano le stoccate, alla reattività delle parate.

È facile fare scherma in Italia o chi vuole praticare questo sport trova difficoltà?
Diciamo che non è uno sport tanto praticato.
Ci sono palestre di scherma anche in Friuli: a San Giorgio di Nogaro, a Udine, a Cividale, a San Daniele, Trieste e Pordenone. Però non ci sono società grandissime, con tantissimi numeri. In Paesi come la Francia o l'Ungheria, insegnando la scherma a scuola, ci sono molti più praticanti.
La nostra “fortuna” è che abbiamo una storia di maestri di scherma molto buona. Anch'io ho iniziato a fare il percorso di istruttrice. E quindi si spera che sempre più ragazzini possano fare scherma e che sia uno sport accessibile, nel senso che sia economicamente affrontabile dalle famiglie, che secondo me è una cosa molto importante.


Mara Navarria

Com’è la situazione in Friuli Venezia Giulia?
L'anno scorso è nata una nuova palestra la “Friuli Scherma” a Udine, su viale Tricesimo. Spero che sempre più società si possano aprire alla scherma, senza barriere, perché è uno sport inclusivo.
È una cosa abbastanza sentita, a livello politico, della federazione, ma anche da noi atleti. In palestra mi capita spessissimo che qualche ragazzino o anche qualche master, di 60 - 70 anni, mi chiedano di tirare insieme. Il nostro non è solo uno sport olimpico, ma anche umano.

C’è nella sua scherma un difetto, un punto de- bole, su cui ha dovuto sempre lavorare?
Di punti deboli ce ne sono tanti e tutti ne abbia- mo. Il punto debole a volte può essere la testa, perché è facile avere momenti in cui le cose non vanno bene e mollare tutto. Però sono friulana e quindi da quel punto di vista si molla poco.
Dal punto di vista tattico - tecnico, invece, mi sarebbe piaciuto gestire meglio la difesa e il contrattacco, ragionare ancora sulle seconde intenzioni.

Come si prepara una competizione come un’Olimpiade dove si gioca tutto in pochi giorni?
L'Olimpiade si prepara in quattro anni. Noi atleti attendiamo le Olimpiadi come l'appuntamento più importante della nostra vita. Tra una e l'altra, in mezzo ci sono i Mondiali, gli Europei, i campionati italiani, che ci aiutano a prepararci. Servono comunque anni per prepararsi in maniera perfetta e riuscire a disputare al momento giusto gli assalti migliori possibili.
Poi bisogna gestire bene i giorni immediatamente prima delle gare, non farsi prendere dalle emozioni.

Durante la finale olimpica a cosa pensava mentre le sue compagne gareggiavano e quando è salita lei in pedana?
Durante la gara, mentre tiravano le mie compagne, ero concentrata a guardare quello che stava succedendo.
In generale ho cercato di essere il più serena possibile e di trasmettere tranquillità, perché era quello che serviva alle mie compagne e io sono il capitano della squadra.
Poi, quando sono entrata, ho pensato a fare semplicemente quello che ho fatto in tutti questi anni di attività.
Nell'ultimo assalto ho pensato soprattutto ad avere silenzio intorno a me. Mi serviva stare in pace perché al Gran Palais c'erano 8.000 persone, soprattutto francesi, che urlavano fortissimo.

Cosa ha provato quando ha messo la medaglia d'oro al collo?
La medaglia d'oro pesa quando la metti al collo, ma pesa soprattutto sul cuore. Perché avevo già deciso che sarebbe stata la mia ultima gara internazio- nale. Sono contenta di aver chiuso in questo modo la mia carriera e tutti questi anni di sacrifici, sconfitte, allenamenti, corse in giro per il mondo e sogni.

Gareggiare al Gran Palais è davvero un'esperienza diversa rispetto ad altri impianti?
Il Gran Palais è un palazzo storico del 1800. Ha delle volte altissime ed era stato addobbato a festa in una maniera spettacolare. Scendere da quelle scale prima della gara è stato molto emozionante. Il Gran Palais, poi, è un tempio per la scherma francese e i francesi sono i nostri avversari più forti e quelli che hanno tanta storia di scherma alle spalle. Rispetto ad altri palazzetti è sicuramente il più bello e io avevo già avuto la fortuna di gareggiarvi.


Inquadra con il telefonino e guarda il video dell’intervista a Mara Navarria
L’intervista si può vedere anche sulla pagina Facebook di WheelDM e sul sito della UILDM di Udine

A parte l'ultima finale di Parigi, c'è una gara che ricorda in modo particolare?
Una gara che mi piace ricordare è quella di Coppa del Mondo, nel 2017 a Tallin, in Estonia. In quell'occasione penso di aver fatto la mia migliore scherma dal punto di vista tecnico e tattico e per me ha un valore speciale. Altre gare che mi piace ricordare sono le Olimpiadi di Londra, dove c'era tutta la mia famiglia. L'Olimpiade di Parigi, invece, è stata un po' particolare perché in fondo alla mia pedana avevo anche mio figlio, Samuele.

Qual è stato il momento più difficile della sua carriera?
Quando è venuto a mancare il mio tecnico. Sono partita da Carlino quando avevo 20 anni e sono entrata nel gruppo sportivo dell'Esercito. Ho pensato di poter fare un salto di qualità andandomene e quindi quello è stato il momento per me più difficile, perché non sapevo se lasciare la scherma, se trasferirmi, se fare solo la mamma, perché ormai Samuele aveva tre anni e non avevamo tanti aiuti. Nel senso che i miei genitori erano qui a Carlino e mio marito è di Casarsa, quindi anche i miei suoceri non potevano aiutarci.
È stato un momento molto difficile che però ho superato grazie al supporto di mio marito Andrea, che mi ha aiutato a trovare un altro tecnico, a Rapallo, dove mi sono allenata e ho vissuto per tre anni.

Ha mai considerato la possibilità di lasciare?
Tantissime volte, soprattutto dopo alcune gare che andavano male. Dicevo: “lascio tutto”, “non ce la faccio”. E poi invece tenevo duro. Dopo l'Olimpiade di Tokyo ho pensato che mancavano solo tre anni a quella di Parigi e ho deciso di fare ancora uno sforzo.
A maggio di quest'anno, però, avevo già dichiarato che dopo le Olimpiadi avrei smesso con le gare internazionali. Farò ancora qualche gara in Italia con il mio gruppo sportivo e poi appenderò felicemente la spada al chiodo, perché comunque il prossimo anno compirò 40 anni.

Quali sono le persone che sono risultate più importanti per la sua carriera sportiva?
Sicuramente i miei genitori, che mi hanno avvicinato alla scherma e mi hanno sempre accompagnato e spronato.
La mia famiglia e i miei amici mi sono sempre stati vicino, nei momenti belli e soprattutto nei momenti brutti. Poi ci sono tutte le persone che noi atleti abbiamo alle spalle, un grande team che ci supporta dietro le quinte. Noi siamo solo la facciata, quelli che ritirano le medaglie, ma dietro ci sono tante figure indispensabili in ruoli diversi: l'allenatore, il fisioterapista, l'ortopedico, la ragazza che mi aiuta con i social, mio figlio che mi sopporta...

Lei è mamma, è complicato riuscire a coniuga- re questo ruolo con l’impegno sportivo?
In qualche caso sì perché non faccio un lavoro normale, con un orario regolare. Capita che stia via una settimana o anche dieci giorni, lontano da casa.
Gestire le cose a volte è stato difficile, però ho cercato sempre di ritagliarmi dei momenti in cui sta- re con mio figlio. Volevamo tanto diventare genitori abbastanza giovani e sono contenta di questa scelta, anche se a volte per Samuele penso sia stato impegnativo.

Il suo rapporto con le sconfitte. Ce n'è stata una che le è stata paradossalmente di aiuto?
Forse la mia sconfitta più grande è non essere riuscita a qualificarmi per Rio 2016. Pochi mesi dopo è venuto a mancare il mio maestro Oleg Pouzanov. L'insieme di queste cose mi ha fatto passare un periodo veramente tosto. Però dopo quel periodo forse ho fatto la mia migliore scherma, ho vinto il Mondiale e mi sono laureata alla specialistica. Forse i periodi brutti ti aiutano a capire meglio quali sono quelli belli, ad apprezzarli quando arrivano, perché c'è il rischio di non accorgersi mai quando si è veramente felici.

Cosa le ha inse- gnato la scherma?
La scherma mi ha insegnato le regole, mi ha insegnato a essere cittadina del mondo e poi a portare questa mia esperienza a casa, a tra- sferirla ai miei fratelli, ai miei amici e mi ha dato la possibilità di vedere posti che non avrei mai visto. E poi ho imparato un po' di francese, un po' di spagnolo e parlo abbastanza bene l'inglese. Quindi la scherma mi ha insegnato anche le lingue.


Mara Navarria durante l'intervista

Dopo una carriera che l'ha portata a vivere altrove e a girare il mondo, qual è il suo legame con il Friuli?
Il legame con il Friuli è forte e sono sempre tornata a Udine e a Carlino appena potevo. Mio papà è un super friulanista e scrive anche in friulano sulla rivista “La Patrie dal Friûl”. E anche quando vivevo a Roma facevamo il frico. L'emergenza Covid mi ha fatto tornare prima a vivere in Friuli, perché ho capito che volevo stare vicino alle persone a cui volevo bene. Vivere in Liguria era bello, ma non era la stessa cosa che vivere a casa, dove si è cresciuti, e sono contentissima che mio figlio adesso viva qui e sia libero di andare in giro in bicicletta e di vivere in mezzo alla natura bellissima di queste zone.
Siamo fortunati a vivere in Friuli Venezia Giulia.

Cosa le piace fare nel tempo libero?
Finché ero un’atleta al cento per cento, di tempo libero, ne avevo ben poco. Adesso che sono a casa, mi piacerebbe riprendere in mano la fotografia che era una mia passione quando ero ragazza. Un'altra cosa che mi piace molto sono le rose, le piante, cu- rare l'orto, stare in mezzo al verde.

C’è un libro o un film che ci può consigliare per avvicinarci e conoscere meglio la scherma?
Recentemente è stato fatto un film, “La stoccata vincente”, che racconta la storia di Paolo Pizzo, un ex campione del mondo che è anche mio amico. Penso si possa trovare su RaiPlay e in parte parla anche del mio maestro Pouzanov, che allenava anche Pizzo. La “Maschera di Zorro” è un altro film piacevole in cui i colpi sono di sciabola. In qualche vecchio film in bianco e nero su D'Artagnan si possono vedere dei veri passi di scherma. In generale sulla scherma moderna non ci sono tanti film. Per quanto riguarda i libri, ne “I tre moschettieri” ci sono alcune descrizioni molto ben fatte e qualche passo di qualche duello di D'Artagnan è veramente realistico.

Nella sua famiglia c'è qualche tradizione sportiva?
Mio papà ha fatto sei mesi di scherma, mia mamma adora camminare in montagna e la scorsa estate ha fatto il cammino di Santiago con una sua amica. Ho fratelli molto sportivi.
Mia sorella Caterina è stata nella squadra nazionale di sciabola, mia sorella Grazia ha fatto mountain bike e tutt'ora va in bici. Diciamo che siamo una famiglia attiva, anche se loro vivono lo sport non in modo agonistico, ma come un'attività che dà benessere, a livello ludico, per stare insieme e stare bene. E anch'io ade

Che progetti ha per il futuro?
Non so ancora dare una risposta a questa domanda. Mi prenderò ancora del tempo per capire cosa voglio fare da grande. Sono già tecnico di secondo livello come istruttore, però devo ancora finire di fare l'abilitazione per diventare maestro.
E poi non vi nascondo che mi sto godendo un po' questo momento, in cui sono chiamata da diverse associazioni e partecipo a diversi eventi per raccontarmi e raccontare che si può fare scherma da mamma, che si può studiare ed essere un'atleta e che il sacrificio paga sempre.