Fisiche, come un gradino o un bagno inaccessibile. Culturali, come il pregiudizio di chi pensa che, se non parli, non puoi comunicare e ti ignora. Le barriere che una persona con disabilità incontra nella sua vita sono tante e lasciano a volte segni molto profondi
Sono peggiori quelle fisiche che ti costringono a restare tagliato fuori dalla gita scolastica che i tuoi compagni stanno condividendo? O quelle invisibili che spingono le persone a non rivolgerti la parola e a guardare oltre come se tu non esistessi?
È peggio un gradino che la tua carrozzina non può superare o il pregiudizio di chi pensa che le persone con disabilità debbano restare “con i propri simili”?
Nella nostra vita tutti dobbiamo scontrarci con barriere più o meno difficili da superare, ma per chi ha una disabilità questa esperienza è molto più frequente, peggiora la vita quotidiana e lascia segni molto più profondi, come raccontano alcuni redattori di WheelDM.
Vengo anch'io. No tu no!
Le barriere architettoniche hanno riempito la mia vita a quattro ruote, con un arricchimento ironico che non smette mai di sorprendermi, creando gimcane per andare dove si vuole e, soprattutto, dove si deve!
L’accessibilità dei servizi igienici, poi, è una cosa a dir poco laboriosa.
I disabili sono dei detective: il wc buono, strade, marciapiedi, porte, ascensori…
Motivo per cui, quando ti offrono una gita, sei entusiasta i primi dieci minuti, poi cominciano i pensieri e il duro lavoro di ricerca.
Sperando che ti dicano la verità su metrature e manufatti.
Credo che mia madre su questo argomento si sia presa una piccola - grande soddisfazione.
Resasi conto che in un marciapiede in prossimità di un incrocio che usavo abitualmente da una parte c’era una rampa e di fronte stavano costruendo un bel gradino, dopo una breve discussione, è riuscita a farlo sparire magicamente... a colpi di martello pneumatico.
Il famoso detto friulano era stato rispettato! Fa e disfà al è dut un lavorà (fare e disfare è tutto un lavorare). Dal momento che il gradino era appena stato terminato e il cemento era quasi asciutto.
La cosa che mi ha più angosciato fino a ora e, a momenti alterni, mi ha anche creato difficoltà con me stessa è stata la barriera psicologica creata da molti per il mio mutismo: “Capirà? Non capirà? Boh!?”. È una barriera che ho fatto più fatica a “scavallare”.
Era solo un problema mio, nato da troppi sguardi che hanno messo un limite invalicabile, per cui ho perso tempo ed energia che potevo dedicare a vivere in serenità la vita.
Immagino che sia difficile affrontare una perso- na che non parla, ma basta un banale “ciao”, che vale tanto. So cosa vuol dire sentirsi incapaci o peggio ignorati, come quando, sola dentro una stan- za, qualcuno entrava ruotando la testa alla ricerca di qualcuno, io annuivo in segno di saluto, ma la porta si chiudeva con uno sguardo curioso e silenzioso.
Un'angoscia mista a rabbia.
Anche io forse ci casco, non voglio dirmi migliore. Le barriere non sono solo materiali. Quelle sono evidenti, creano impedimenti fisici che fanno inalberare (per evitare termini folcloristici).
Le barriere sono fatte anche di silenzi, esclusio- ne, poca curiosità nel conoscere chi è un po’ diffe- rente (in un mondo dove tutti sono diversi!) e anche troppa inventiva nei giudizi affrettati. Tutto questo può fare più danni di un gradino. Purtroppo ho l'impressione che, da questo punto di vista, la società stia diventando più egualitaria, ma nel senso sbagliato. Prima veniva preso di mira il mondo dei disabili, sottolineando negativamente alcune carat- teristiche fisiche per ferire chi veniva giudicato dif- ferente. Ora, le stesse modalità “alza barriera” vengono troppo tonda / troppo liscia, troppo alta / troppo bassa…
È una sagra di banali caratteristiche trattate come armi contundenti, con cattiverie che inquinano la vita.
Speriamo che questo produca maggiore attenzio- ne e un annullamento di questo modo di agire e di pensare che ormai non riguarda più solo chi ha una disabilità.
Silvia De Piero
A volte ci si dimentica della diplomazia
Foto di Matteo Lavazza Seranto
Ci sono le barriere fisiche, architettoniche e quelle culturali. Le prime impediscono la libera fruizione degli spazi, la libera circolazione e autonomia di movimento, le seconde una completa e reale integrazione.
Nella mia vita ne ho viste tantissime di barriere di ogni tipo. Quelle che mi sono rimaste più impresse, che non dimentico, le ho subite da bambino, a dimostrazione che quello che viene fatto ai bambini può essere qualcosa che resta poi indelebile negli anni a venire.
Avevo nove anni e avevo appuntamento a Trieste con un luminare della neurologia che avrebbe dato una volta per tutte il responso sulla malattia che mi aveva colpito. Arrivati a Trieste, lo studio del professore era in un palazzo. Ricordo mio padre prendermi sulla schiena e fare i due o tre piani di scale per raggiungere lo studio. Trovai assurdo avere uno studio non raggiungibile a tutti.
A scuola rinunciavo alle gite scolastiche. Le difficoltà a camminare erano tali che mi avrebbero impedito di seguire la gita.
Ma a Trieste (questa città mi perseguita) i professori vollero che ci fossi. Ricordo la visita all’acquario ma i problemi si presentarono al momento di visitare la Grotta Gigante. Rinunciai e passai tutto il tempo con l’autista della corriera. Non vidi la Grotta Gigante ma in compenso tornai a casa che sapevo tutto su leve, pulsanti e spie di una corriera.
Un altro episodio che ricordo: ero da poco costretto alla carrozzina, era un martedì, giornata di mercato nel mio paesino. Una signora si avvicina e sento che dice a mia madre “Perché non metti tuo figlio in uno di quegli istituti dove ci sono quelli come lui? Starebbe meglio anche lui”. Non riporto la poco diplomatica risposta di mia madre.
Da allora l’attenzione verso queste tematiche e le persone con disabilità è cresciuta, migliorata, anche se la strada da fare è ancora molto lunga.
Diego Badolo
Un aggeggio infernale
Foto di Matteo Lavazza Seranto
Sarebbe bello che tutta l’Italia fosse senza barriere fisiche e mentali, ma purtroppo non è così.
Ogni volta che un disabile esce di casa, trova delle barriere architettoniche, marciapiedi che non hanno uno scivolo, che sono ondulati per colpa delle radici, o gente che parcheggia nei parcheggi riservati ai disabili.
Mi chiedo perché sia così difficile eliminare le barriere architettoniche, dal momento che eliminarle sarebbe utile non solo per i disabili, ma anche per le mamme con i passeggini e gli anziani.
Avrei tanti episodi da raccontare sulle barriere architettoniche.
Una volta sono andato a vedere una mostra vicino a casa.
Per entrare c’erano tre scalini, ma pensavo che non ci sarebbe stato nessun problema vista la presenza di un servoscala. Arrivo al museo, gli addetti soddisfatti mi accompagnano, ma, mentre salgo, l’aggeggio infernale si ferma a metà scalinata. Il custode non c’era, gli addetti al museo, molto imbarazzati, non potevano fare nulla e, dopo tanti tentativi vani di ricerca del custode, hanno dovuto chiamare i pompieri.
Io ero sempre bloccato, ma dopo un po' sono arrivati con le sirene spiegate e sono riusciti a farmi salire lo scalino mancante rompendo la pedana e sollevando di peso la carrozzina.
Oltre alle barriere architettoniche, nei luoghi pubblici c’è un problema di manutenzione dei sistemi per superarle. Invece le barriere culturali sono più difficili da superare.
Mi ricordo da bambino che c’erano altri bambini che chiedevano alla loro mamma che problemi avessi: non gli veniva data una spiegazione, ma erano invitati a lasciar perdere.
Una barriera culturale che ho subito è stata anche a scuola con gli insegnanti di sostegno, perché fino alle medie mi seguivano per tutte le ore, poi, continuando alle superiori, mi venivano assegnati mesi dopo l’inizio delle lezioni e mi seguivano per poche ore, facendomi sentire un pesce fuor d’acqua.
Non so se la situazione è migliorata, spero di sì, perché mi dispiacerebbe sapere che a distanza di tanti anni ci sono ancora ragazzi disabili che si sentono fuori luogo come mi sentivo io.
Luca Rigonat