Senza fatica
Nel mio paese d’origine c’è un proverbio: “Senza fatica, non si pesca neanche un pesce nello stagno”.
Ho sempre pensato che fosse un'esagerazione che si riferiva al massimo agli stagni naturali dove anda- vo a pescare da bambino. Con questa convinzione ancora intatta (per ora), mi sono messo in viaggio verso il laghetto Partidor, a Montereale Valcellina, dove sono stato fortunatamente invitato dalla UILDM a un'iniziativa promossa da una serie di as- sociazioni del posto (vedi l'articolo a pag. 10).
Il laghetto era accessibile e uno degli organizzatori ci ha avvisato in modo molto ottimistico che non avremmo potuto prendere più di “cinque pesci a testa”. L’acqua di colore turchese evocava una sensazione di serenità e io già immaginavo la trota laggiù in fondo, che aspettava impazientemente di essere catturata da me. Alla fine, l'unico ad essere impaziente ero io. Ci hanno dato canne da pesca e bigattini, piccole larve bianche, come esche.
Poiché ero accompagnato da mia madre e da un suo amico, che sosteneva di essere un pescatore esperto, non ho chiesto alcun aiuto ai volontari. Ho imparato i verbi “lanciare” e “tirare su”. Il tempo passava, il sole bruciava senza pietà, qualcun altro aveva già pescato qualcosa, ma io non ero altrettanto bravo.
Mi sono tornati in mente giorni ormai dimenticati, quando in Ucraina pescavo con mio fratello e mio papà. La mia unica preoccupazione a quei tempi era quella di non calpestare una rana o una vipera nascoste nell'erba alta. Ricordo che c'erano molti "segni" e superstizioni sulla pesca: che i pesci abboccano quando pioviggina o che al pesce piace quando parli durante la pesca. Ora che ci penso, forse era solo un trucco di mio padre per farmi impara- re a memoria la tavola pitagorica, recitandola ad alta voce. Mi avevano anche detto che, per fare una bel- la cattura, bisogna dire una preghiera. "Be', male non farà", ho pensato, chiedendo a tutti gli dei, compresi quelli giapponesi, di aiutarmi a catturare qualcosa. Ma dato che dicono anche "aiutati che il ciel t'aiuta”, ho deciso di osservare cosa facevano gli altri e di sperimentare, perché le mie mani erano già doloranti per la stanchezza.
Ho notato che alcune persone mettevano un pic- colo “zuccherino” bianco sopra l'esca e ho chiesto a un volontario dove trovarlo. Ho anche deciso di pro- vare a tirare su la canna a una velocità più lenta, co- me se non avessi affatto fretta.
E alla fine è successo. Mi è sembrato di aver ag- ganciato qualcosa di pesante, ma tirando ulterior- mente ho avuto la sensazione di non averlo agganciato e non c'era lotta. Finché non è arrivato più vi- cino alla superficie. Lì ho dovuto chiedere aiuto per tirare fuori il pesce.
Dopo questa prima cattura tutto è diventato un po' più facile. Come ho letto da qualche parte, prima che Usain Bolt battesse il record di velocità nella corsa, nessuno lo credeva possibile, ma dopo che ce l'ha fatta, altri corridori hanno potuto ripetere il suo successo. Prima che la sessione finisse, ho preso tre bellissime trote: due le ho catturate io e una l'ha catturata l'amico di mia madre. Il proverbio si è rivelato vero. Ma ora capisco che non si tratta solo di doversi impegnare sempre, ma anche di non arrendersi quando sembra di non farcela.
Vladyslav Medianyk